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a lui, e chinava la testa vicino alla sua per guardare insieme le incisioni del giornale. Di quando in quando volgeva gli occhi sull’orologio, e diceva sorridendo al marito che non avrebbe fatto a tempo. Finalmente il conte si alzò, ordinò la carrozza, e strinse la mano alla moglie.

— Quando ritornerete? domandò costei.

— Doman l’altro o giovedì al più tardi.

— Buon viaggio.

Armandi s’affacciò alla finestra per vedere se la carrozza fosse a piedi della scala; guardò il cielo stellato, e disse alla moglie:

— La sera è magnifica, volete farmi il piacere di accompagnarmi sin da Marteni?

— Volentieri, ma temo di farvi ritardar troppo.

— Abbiamo tempo d’avanzo, diss’egli; il vostro orologio va di galoppo. Metterete qualche cosa sulle spalle, ecco tutto.

— L’Armandi mostrò una certa premura nello accondiscendere al cortese desiderio del marito; questi la ringraziò, le offerse il braccio; e montò con lei in carrozza.

— Per Dio! esclamò al momento di partire. Ho dimenticato il mio portafoglio, nientemeno! Quel che vuol dire far le cose troppo in furia! E saltò a terra d’un balzo, ma mise un buon quarto d’ora a tornare. La contessa era più impaziente di lui.

— Vai di galoppo! ordinò ella al cocchiere.

Il conte si buttò in fondo al legno e si mise a fumare.