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lino sulla spalla. Si vedeva il suo busto piegarsi e inarcarsi con graziosa elasticità sotto il tessuto leggero che gonfiavasi e increspavasi alternativamente. Si fermava agli sbocchi dei viali, mettevasi sugli occhi, per guardar lontano, la mano che al sole sembrava di un roseo trasparente, poscia s’avviava risolutamente, con vaga spensieratezza: il viale si arrampicava sull’erta serpeggiando; la contessa arrestavasi di tanto in tanto per ripigliar fiato, e voltavasi verso di Alberto per dirgli qualche parola. Ad un certo punto gli stese, senza voltarsi, la mano; ei la baciò.
— Cosa volete che faccia per provarvi quanto vi ami? gli disse risolutamente.
— Datemi la chiave del cancello che mette sul lago. Ella si voltò, lo fissò seria seria, e scosse il capo due o tre volte.
— Vedete! disse Alberto amaramente.
La contessa gli strinse la mano, conducendolo con dolce violenza; svoltò l’angolo del viale che saliva alla capanna abbandonata, ed entrò nel padiglione.
Stava ritta sotto l’arco fiorito, guardando il lago che luccicava in fondo al panorama, e colle mani appoggiate al bastone dell’ombrellino. Il venticello faceva svolazzare il suo vestito, e glielo modellava addosso.
— Vorreste vivere con me, laggiù, in Isvizzera, a Londra o a Parigi?
Ei le afferrò la mano con impeto.
— E voi lo fareste?
— Se lo potessi!....