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più ferme e la lingua più sciolta degli altri. Andarono sui bastioni in carrozza, ciarlando, fumando e ridendo ad alta voce; l’aria era rinfrescata da un lieve venticello che veniva dalle Alpi; dal boschetto esalavano di tanto in tanto vigorosi profumi; incontravansi solamente qualche coppia che passeggiava lentamente, discorrendo sottovoce, e dileguavasi sotto gli alberi del viale, o qualche brougham che andava a piccolo trotto, il cavallo fiutando la polvere e il cocchiere contando le stelle nascenti. Alberti a poco a poco era divenuto silenzioso, s’era buttato in fondo al legno, e avea lasciato spegnere il sigaro. Ad un tratto fece fermare la carrozza, salutò gli amici, s’avviò, a piedi pel Corso, fermò il primo fiacre che incontrò e si fece portare dalla Selene.

— Oh! esclamò costei vedendoselo comparire dinanzi, e rimanendo con una mano sul battente dell’uscio, con grand’occhi attoniti. Non t’aspettavo più.

Ei si chinò sulla candela, e accese un altro sigaro.

— T’hanno detto che sono venuta a cercarti?

— Sì.

Selene andò in furia a prendere il biglietto che Alberti le avea dato per Bigatti, e lo stracciò in cento pezzi.

— Allora ecco il tuo braccialetto! Non lo voglio.

— Come sei bella così in collera! rispose Alberti dopo averla fissata alcuni secondi senza batter ciglio.

— Sei innamorato? cos’hai? sei innamorato?

Ei non rispose.

— Sei in collera colla tua bella? di’!