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— Sto benissimo, grazie.

— Vieni dal lago? Cosa m’hai portato dal lago?

— T’ho portato un braccialetto.

— Bello? Fammelo vedere. Dov’è?

— Da Bigatti. Se hai furia puoi andare a prenderlo.

Scrisse su di un biglietto di visita due righe pel gioielliere che la conosceva benissimo, e glie lo diede. Ella volle gettargli le braccia al collo.

— Te l’ho regalato, non te l’ho venduto, diss’egli scostandola. Lasciami stare.

La povera Selene se n’andò mogia mogia. Alberti ordinò al cameriere di dir sempre che non era in casa tutte le volte che ella venisse a cercarlo.

Andò al Corso, alla sala d’armi, ai Circolo; giocò, rivide i suoi amici, e prese parte alle loro cene e a tutti i loro passatempi. Giunti, il nestore emerito della brigata, l’avea preso sotto la sua protezione. — È di buona razza e di buona tempra, diceva. Il nestore avea quarantasette anni, due gran dame che se lo disputavano, ed una amante per la quale gettava il danaro a due mani. Gli amici di Alberto erano tutti bravi giovanotti, — borsa aperta, cuore a prova di spada, e scilinguagnolo un po’ sciolto. Nella loro allegria, nella loro conversazione, nei loro bagordi, c’era un profumo di gaiezza, di spirito, e di cordialità giovanile che inebbriava i più sobri.

Una delle più belle sere di luglio Alberti era uscito dal Circolo, insieme a due amici coi quali avea desinato; avea la pupilla alquanto dilatata, è vero, ma le gambe