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piano, e faceva il galante colle amiche di lei; sapeva condursi con garbo, rispettava le esigenze sociali, e piegava il capo con grazia alle piccole ipocrisie. Ella invece stava in mezzo a quegli scogli colla testa alta, con aristocratica disinvoltura, dominando tutto quello che non poteva elevare sino a lei; ingentiliva Alberto, lo perfezionava, stava a discorrere con lui accanto al piano, presso il tavolino da lavoro, o si faceva accompagnare in giardino, dandogli l’ombrellino da recarle, e si lasciava baciare il guanto — sicchè tutte le volte che gli permetteva di strapparle quel guanto, o lo precedeva sotto i folti alberi del boschetto, sorridente, esitante, guardandosi intorno nel raccogliere le pieghe del vestito, e camminando in punta di piedi, a lui sembrava che il cielo si spalancasse a due battenti. — Giammai non aveva voluto più andare una sola volta sul lago con lui.


Si approssimava il ritorno del conte Armandi; Alberti lo sapeva vagamente, ma non aveva mai osato domandarne alla contessa, ed ella non gliene avea mai parlato. Un venerdì ch’era andato da lei per combinare una gita sul lago, e gli avevano detto che sarebbe ritornata a momenti, s’era messo al piano per ingannare il tempo, e scorreva della musica che la sera innanzi le avea mandato egli stesso. Infatti udì aprir l’uscio del salotto, e si alzò credendo fosse lei. Invece era la bambina, che giungeva correndo prima della madre, e vedendo Alberto s’era fermata sull’uscio.