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— Perchè non mi scacciate? replicò Alberti.
Un’espressione indefinibile, un non so che di attonito, d’ansioso, d’irato, di vendicativo, d’innamorato e di pauroso, lampeggiò nello sguardo della contessa. Ella stette alcun tempo senza dir nulla; poi arrovesciò il capo all’indietro sulla spalliera della poltrona, con un movimento felino, e colle mani intrecciate dietro la nuca, colle larghe maniche cadenti per le candide braccia, rispose mollemente, guardando il soffitto.
— Avete ragione. Il meglio sarà non vederci più.
Alberto rimase immobile, guardandola. Ad un tratto si precipitò su di lei come un leone innamorato, l’afferrò per la vita, senza dire una parola, e la sollevò sulle braccia. Ella piantò gli occhi scintillanti come armi omicide in quel viso pallido e stravolto, tenendosi discosta da lui con tutta la forza delle sue braccia irrigidite, e all’improvviso gli si avventò al collo, e lo baciò rabbiosamente.