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Si abbandonò sulla poltrona e nascose il viso nel fazzoletto, senza muoversi più, senza dire una parola, così altera e sdegnosa che Alberto non osò scostare una punta di quel fazzoletto.

— Cosa v’ho fatto? replicò alfine giungendo le mani. Non vedete come soffro, come vi amo, come ho sofferto per non avervi potuto vedere?.... Avete letto il mio biglietto?

— Sì.... e la mia cameriera prima di me.

— Ho scritto per questo in inglese.....

— Avreste dovuto scrivere in camaldolese: sarebbe stato meno sospetto, e meno compromettente.

Ella parlava piano, con calma, con accento di rassegnazione ironica, col viso dimesso, e le mani incrociate sulle ginocchia.

— Ho avuto torto! rispose Alberto alquanto indispettito; perdonatemi. Vi amavo, avevo perduto la testa. Non pensavo alle convenienze, al mondo, ai domestici... Avevo bisogno di pensare a voi.... di fare qualche cosa per voi.... Non avevo altro da dirvi....

— Nemmeno che avreste fatto della musica colla signora Rigalli, onde non compromettervi col vostro scritto. Non è così? interruppe la donna.

— Oh!

— Perchè arrossite d’avermelo rimproverato mezz’ora fa? Avevate ragione! riprese ella colla medesima calma nella parola, nell’accento, nella fisonomia e nell’atteggiamento. Il vostro amore è schietto, franco, e sincero — io ho parlato dinanzi a voi di mio marito, e non ho