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no; sentiva un gran sbalordimento, un desiderio febbrile, un’immensa gioia tumultuosa, inquieta — e lei, sempre là, dinanzi agli occhi, dentro di sè, dappertutto.

Le vie incominciavano a popolarsi, il lago formicolava di barchette, e Alberti gironzava sempre attorno a quella villa che esercitava un fascino su di lui. Ella doveva esser lì, dietro ogni persiana, ansiosa, bramosa come lui, a cercarlo anche lei cogli occhi, colle reminiscenze, colla fantasticheria. Contemplava quella terrazza ov’erano stati insieme, quella balaustrata alla quale ella si era appoggiata, quella scalinata per la quale era discesa, quel lago sul quale s’era cullata mollemente la loro barchetta, circondata di tenebre discrete, dolci, misteriose. Tutte quelle cose adesso erano inondate di sole, senza ombre, senza veli, petulanti. — Udiva dentro di sè quella parola «m’aspetti» — e quel piccolo grido soffocato.

Verso le undici non potè più resistere al desiderio di rivederla, come se l’avesse lasciata da un secolo, ed andò. La cameriera gli disse che dormiva. Ei se lo fece ripetere due volte, quasi non fosse ben sveglio egli pure, e volse le spalle. Poi tornò indietro, e lasciò per lei il suo biglietto di visita, sul quale scrisse in inglese col lapis:

«Invidio voi che potete dormire.»

Andò all’albergo, si buttò sul letto, e dormì due o tre ore un sonno da ubbriaco. Una lettera di lei venne a svegliarlo di soprassalto.