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fascino voluttuoso; quella pallida luce sembrava versare onde di non so qual nebbia seduttrice; un’ora suonava. La donna rivolse indolentemente il capo verso il luogo dove ondulavano ancora gli ultimi rintocchi, e tutt’a un tratto, fissando in volto ad Alberto gli occhi luccicanti, gli disse, in quella molle positura e con accento brusco e quasi irritato:

— Marchese Alberti, se in questo memento ci fosse anche in voi il conte Armandi, e se una metà del vostro individuo giurasse all’altra metà di non essere l’amante di vostra moglie, lo credereste?

Alberto rimase sbalordito. Poi si rizzò di botto, e le disse con voce tremante e soffocata:

— Contessa, se adesso doveste buttarvi nel lago, oppure nelle mie braccia, che cosa preferireste di fare?

Ella s’era alzata anche lei; si teneva ritta sulla poppa, leggermente pallida, cogli sguardi smarriti, le labbra smorte e sorridenti.

— Almeno non vorrei fare una sciocchezza che dopo l’altra: rispose con uno scoppiettìo di riso convulso.

Ei le afferrò le mani.

— Aspettate! diss’ella seria, risoluta, e con voce concitata. Voi giurereste di buttarvi nel lago..... se io lo volessi?

— Sì.

Il brusco movimento di lui minacciò di far rovesciare la barchetta. La contessa vacillò, mise un piccolo grido:

— Non cominciamo dalla fine! disse.