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E tacquero nuovamente.
Tutt’a un tratto Alberti le piantò gli occhi in viso e domandò:
— Perchè mi domanda della mia ballerina?
— Così... per parlare di qualche cosa...
Ei chiuse l’album, si alzò, andò a vedere l’ora che segnava l’orologio, e tornò a sedersi senza aprir bocca.
La contessa l’avea seguito collo sguardo, e s’era fatta pensierosa. Alla sua volta gli piantò gli occhi in faccia anche lei, e gli disse:
— Perchè le rincresce che le parli della sua ballerina?
— Non mi rincresce, rispose Alberti un po’ bruscamente.
— Ho bisogno di rammentarle i nostri patti? riprese l’Armandi dopo una lieve esitazione. Non siamo più amici come prima? Non ho più il diritto d’interessarmi a lei? di darle dei consigli all’occorrenza? Ella è giovane e pieno di cuore — troppo, forse. — Non le ho detto che quella ragazza le conviene, giacchè non è pericolosa per la sua immaginazione?
— Grazie.
Successe un altro lungo silenzio.
— M’ascolti, riprese infine la contessa mentre Alberti stava a capo chino. Le ho parlato sempre con tanta schiettezza, che non le ho lasciato nemmeno il diritto di essere ingiusto. Sa che non l’amo, e che non l’amerò giammai ma che le voglio un gran bene — in un altro modo — e che la sua amicizia mi è carissima. Però il