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Al ricevere quella lettera Alberto s’era rammentato dei dolci e melanconici tramonti sull’Arno, quando la contessa gli stava accanto pensierosa; ma leggendone il contenuto cadde dal settimo cielo; e come un fanciullo che era, ebbe la temerità di voler lottare sul medesimo terreno e colle armi medesime con chi era più forte di lui; rispose:


«Ho seguíto i suoi consigli: ho viaggiato! sono a Milano, e mi diverto mezzo mondo. Sono innamorato con giudizio di una bella tosa che avevo conosciuta ad un veglione della Pergola, e che rividi qui in una certa osteria suburbana, dove un mio amico — ho molti amici — che prende moglie, ci dava un pranzo da matti per farla finita colle follìe. Si chiama Selene — l’amata — (bel nome da palcoscenico, n’è vero?) ballerina al regio teatro alla Scala, prima quadriglia, marcia in punta di piedi come niente fosse, e ci vogliamo un bene da non dire. Vedendomi ella mi riconobbe subito, e fece un oh! che ci rendeva amici vecchi. Mi chiama biondino. La nostra amicizia è stata facile e pronta, ed è per questo senza una nube. Ella vede dunque, amica mia, che non c’è nulla a temere per la mia testa. Noi non ci strappiamo i capelli, non abbiamo il più meschino geloso da sfidare, o il più piccolo balcone da scalare; non c’è la più innocente lagrima, neppur l’ombra di una vera e grande passione.... Ma tant’è, si campa lo stesso. La mia Selene è molto bella — niente