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vera d’Alberti nell’uggioso periodo che avea seguito la rottura di lui colla Manfredini. Egli andava a trovarla più spesso, e trovava piacere a chiacchierare con lei di cose indifferenti o a sfogarsi del suo umor nero. La contessa possedeva la rara qualità di saper ascoltare. Più di una volta il giovane avea sorpreso sè stesso in muta contemplazione di quella mano fina e aristocratica che carezzava indolentemente il nastro della gorgierina, gli sgonfletti del fisciù, e almanaccava dove l’avesse vista un’altra volta.


L’Armandi partiva anch’essa pei bagni, e a poco a poco Alberto avea finito per andarla a trovare quasi ogni giorno. Alla vigilia della partenza l’uno e l’altra s’erano fermati più a lungo del solito sul terrazzino a contemplare gli ultimi raggi del sole che moriva. Alberto era taciturno, ed anche la contessa aveva parlato pochissimo.

— Non è punto allegro stasera! diss’ella come per scacciare la tristezza che invadeva anche lei.

— Si fermerà lungo tempo ai bagni?

— Dipenderà da mio marito; ma poi andremo sul lago di Como,

Ei chinò il capo e rimase zitto. Anch’essa divenne astratta.

Poi gli disse abbassando la voce, senza che ne sapesse il perchè ella medesima:

— Veramente.... le rincresce ch’io parta?

— Sì; rispose Alberto senza alzare il capo.