Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 139 — |
Alberti non diceva una parola, e rimaneva come di sasso, fissando lei che giocherellava in aria distratta coi fiori che aveva côlto. — Sentite, Velleda! esclamò quindi con uno slancio d’affetto; vorrei poter baciare la sabbia che calpestate!... Grazie!...
La contessina lo guardò attonita. — Di che?...
— Siete gelosa!... Dunque, mi amate ancora! Velleda aggrottò il sopracciglio, e parve un istante turbata ed esitante. — Chi v’ha detto ch’io sia gelosa? rispose poscia alteramente.
— Ma dunque?... Ma perchè?.. Ma allora perchè volete lasciarmi?
Dopo alcuni istanti la giovinetta rialzò Il capo che teneva chino, e rispose lentamente:
— Perchè non ci conveniamo.... Ci siamo sbagliati. Rimediamoci finchè siamo in tempo.
— E il rimediarci non vi costerà nulla? domandò Alberto pallido come cera.
— Nulla; diss’ella dopo alcuni istanti.
— Rimediamoci allora!
Fecero alcuni passi in silenzio.
Noi partiremo doman l’altro per Livorno; riprese Velleda con voce calma. Questa sera andremo in casa Armandi, e domani faremo le ultime visite di congedo; quindi saremo occupatissime sino al momento della partenza; così potremo far tacere le ciarle degl’indiscreti per adesso. Durante la stagione dei bagni avremo poi tutto il tempo per disporre le cose nel modo più conveniente....