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La contessa gli piantò in viso uno sguardo acuto e un sorriso incredulo, e gli disse tranquillamente:

— Ella è geloso!

— Io?... di colui!...

— Superbo!...

E si mise a solfeggiare col ventaglio la musica che suonavasi. — Ta... ta... ta... Vogliamo sederci qui?

Cambiò discorso e si misero a guardare il via vai della folla. Poco dopo passavano la contessina Manfredini e il principe Metelliani. L’Armandi non avea detto una sola parola, ma troncò a mezzo la frase incominciata, e li seguì semplicemente collo sguardo. Velleda rivolse loro da lungi un grazioso cenno del capo.

— Verrà anche lei a Livorno? domandò l’Armandi al principe.

— Sì.

— Ma la Toscana se lo ruba addirittura!

— Non domando di meglio che d’essere rubato, bella contessa.

Ella scoppiò a ridere ironicamente, ma si fece rossa. — S’accomodi! gli disse, volgendogli a mezzo le spalle.

Anche Alberto s’era fatto di fiamma in viso, lanciò a Don Ferdinando uno sguardo provocante, e gli disse colla voce leggermente tremante:

— È singolare però che ella cerchi da un pezzo inutilmente.

Velleda si morse le labbra, e colse il primo pretesto per allontanarsi.