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spalle — però senza che se ne fosse accorta, di certo — poichè incontrandolo poco dopo si mostrò amabilissima, prese il braccio di lui, e si mise a girare per le sale.
Dopo aver chiacchierato un bel pezzo d’argomenti diversi gli domandò con accento singolare:
— Si diverte?
La domanda era semplicissima, ma Alberto si trovò imbarazzato a rispondere: — M’accorgo, disse alfine, che non son fatto per cotesti divertimenti.
— Cosa vuole! Qualche volta bisogna sacrificarsi per gli altri. Velleda ci si diverte tanto! cotesto non è un piacere per lei?
- Sì; rispose egli secco secco.
La contessa ebbe uno di quegli scoppi di ilarità che la rendevano formidabile; sicchè Alberto si fece di porpora. Ma tosto ella, per dimostrargli in certo modo la vera causa di quel riso a doppio indirizzo, soggiunse:
— Quel povero Metelliani m’ha l’aria di un rajà indiano, così camuffato e carico di brillanti.
— Alberto saettò sul rajà romano uno sguardo che l’Armandi sorprese.
— Senza adulazione, sa ch’è un bel trionfo il suo? gli disse. Non dipenderebbe che da Velleda di vedersi deporre ai piedi tutti quei ninnoli, e di aversi la corona di principessa allo sportello della carrozza!...
— Se le fossi grato di una simile preferenza mi parrebbe d’insultare la mia fidanzata; rispose Alberto, cercando di adattarsi all’aria scherzosa dell’Armandi, ma con troppa vivacità.