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— Qualcosa troverò; disse la Manfredini dopo aver saettato alla sfuggita uno sguardo acuto sulla figliuola.
— Andrò io, mamma! esclamò costei, di cui l’angoscia terribile tradivasi nell’accento. Ma prima che ella potesse gettarsi dinanzi all’uscio, la madre era entrata precipitosamente.
L’Armandi prese la mano della fanciulla, per ringraziarla, senza distogliere gli occhi da quelli di lei.
La signora Manfredini ritornò quasi subito, perfettamente calma, tenendo in mano una boccettina che fece odorare alla contessa. La madre e la figlia non si rivolsero uno sguardo.
Il rimedio parve giovare immensamente alla contessa, e dopo cinque minuti ella ritornava in sala al braccio della signora Manfredini. Velleda si fermò ancora un po’ dinanzi allo specchio per aggiustare qualche piccolo disordine della sua toeletta, senza neppur volgere gli occhi sullo specchio. Ella accompagnò con un lungo sguardo attraverso lo specchio le due signore, e allorchè fu certa di esser sola, si precipitò nella sua camera, e la scorse tutta in una sola occhiata. Non c’era nessuno. Corse alla finestra, alta un primo piano dal suolo, e la trovò socchiusa, soffocò un grido, e cadde sui ginocchi.
Il giorno dopo, alle quattro, il marchese Alberti presentavasi alla contessa Manfredini, e le chiedeva la mano di madamigella Velleda.