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— Ebbene? gli disse fermandoglisi dinanzi.
Egli avea tutto udito. — Perdonatemi! mormorò. Ero geloso!...
— Di chi?
— Di colui!...
— Sareste qui se aveste il diritto di essere geloso? rispose ella con nobile semplicità.
Il giovane volse attorno uno sguardo commosso, quasi reverente, come se il profumo verginale di quella cameretta avesse qualcosa d’augusto, e le cadde ai piedi.
— È vero!... Cosa avete fatto, Velleda!..
— Ho fatto la sola cosa che potesse provarvi come vi ami; rispose la giovinetta, senza una sola vibrazione nella voce.
Alberto osò allacciarla colle braccia, e accostarle alla fronte le labbra tremanti. Ella socchiuse gli occhi, e si abbandonò mollemente. Ad un tratto trasalì, lo respinse con vivacità, e stette ad ascoltare. — Mio Dio! esclamò.
In un lampo raffermò il viso e lo sguardo, uscì con un movimento felino, e si trovò faccia a faccia colla madre, e colla contessa Armandi.
La contessa non si sente bene; disse la Manfredini. Hai qualche cordiale nella tua camera?
— Nulla, mamma! rispose Velleda con insolita vivacità.
L’Armandi s’era buttata sul canapè, e malgrado il suo gran male sembrava stesse assai meglio della ragazza ch’era pallida come un cencio. Ella avea rivolto un’occhiata rapida e penetrante su di Velleda, e s’era scusata alla meglio.