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che non aveva mai fatto, l’aspettava alla finestra, o sotto le acacie del giardino. Allorquando erano insieme si dicevano ben poco, discorrevano degli argomenti più comuni, che per loro avevano cent’altri significati; i loro occhi si incontravano di rado, le loro mani non s’incontravano mai. La contessa Manfredini aveva l’aria di fiutare il vento.
De Marchi era ritornato da Napoli, e la sua prima visita era stata pel villino Flora. Le trattative pel matrimonio non erano molto avanzate; certuni dicevano anzi che avevano fatto un passo indietro, ma gli interessati erano tutte persone di buona società, e sapevano continuare le loro relazioni in modo da non dar pretesti agli indiscreti, ed ai curiosi; tanto più che degli impegni seri non ne erano mai stati presi officialmente.
In uno degli ultimi ricevimenti di casa Manfredini, De Marchi erasi mostrato più premuroso e galante del solito. Alberti rincantucciato in un angolo soffriva in silenzio. Velleda stava servendo il thè, e passandogli accanto lo vide così pallido e contraffatto. — Che avete? gli domandò. Ei le lanciò un’occhiata febbrile. Velleda passò oltre.
Alberto la seguiva con avido sguardo. La vide passare accanto a De Marchi, che stava appoggiato allo stipite di un uscio, colla mano nascosta nel gilè, colla lente incastrata nell’occhio, bello e sardonico. Alberto non potè udire che cosa colui le avesse detto inchinandosi verso di lei; ma lo vide sorridere, e anch’essa sorrise e ar-