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Il giorno dopo Velleda lo interrogò due o tre volte collo sguardo — ei mostravasi annuvolato. — Poi andò a sedere in un canto, senza fargli una sola domanda.
Ei le si avvicinò, le sedette accanto, e si misero a trastullarsi coi libri e cogli album. Dopo un lungo silenzio le disse a voce bassa:
— Sapete che fra breve tornerà il signor De Marchi da Napoli?
Velleda gli fissò gli occhi in viso, si strinse nelle spalle, e non rispose. Il giovane le strinse la mano di nascosto, e riprese:
— Perdonatemi tutto ciò che vi ho detto in quella sera.... Sono stato matto.... o qualcosa di peggio!
La fanciulla, all’ombra della ventola, non staccava da lui quello sguardo luminoso, tenace, incisivo; ma non aprì bocca; egli si fece pallido, esitò, le strinse la mano con forza, e balbettò:
— Sposatelo.
Velleda rimase zitta, immobile, bianca; infine lasciò cadere lentamente questa parola:
— Perchè?
— Perchè io non mi ammoglierei giammai.
Una vampa di fuoco corse pel viso della giovanetta; poscia impallidì, ritirò dolcemente la mano, rimase alcuni istanti collo sguardo fiso dinanzi a sè, col sopracciglio aggrottato, e infine disse con un tono di voce che non avrebbesi potuto indovinare se fosse altero o indifferente:
— Che m’importa?