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Il marito sorrise — sorriso grottesco su quel viso impassibile — e rispose tranquillamente:
— Per voi.
La marchesa si passò il fazzoletto sulle labbra.
— Galli aveva lo scilinguagnolo un po’ sciolto e pretendeva avervi vista alla Scala, in dominò, nel palco del mio amico Armandi.
— Eravate a cena?
— Sì.
— Ah, vi battete per un cattivo scherzo da dessert! — diss’ella sorridendo amaramente.
Il marchese la guardò fiso. Poscia coll’aria più indifferente del mondo, prese un dominò ch’era sulla seggiola più vicina, lo buttò sul canapè, e sedette di faccia a lei. — Perdonatemi, soggiunse; non potevo lasciar calunniare mia moglie.
Ella s’inchinò, troppo profondamente ed ironicamente forse, e perciò tutto il sangue le corse al viso:
— Tutti sanno che Galli è geloso di voi perchè gli avete rubato l’Adalgisa!
— Lo sapete anche voi? rispose il marchese accavallando l’una gamba sull’altra.
— Scusatemi, debolezze di donne! diss’ella un po’ pallida, e cercando di sorridere.
— E di uomini, se volete; aggiunse il marito con galanteria.
Ci fu un istante di silenzio: ella giocherellava collo sparato del suo corsetto; egli dondolava la gamba posta a cavalcioni: evitavano di guardarsi.