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scusare i modi della figliuola, trattava Alberti affabilmente.

Una sera che l’aria più mite della primavera permetteva di lasciare le finestre aperte, Velleda s’avvicinò ad Alberti colla sua andatura disinvolta, e gli disse tranquillamente:

— Ho da dirle qualcosa, signore — e lo precesse sul terrazzino. — Sa che il signor De Marchi ha chiesto la mia mano?

— Lo sospettavo...

— Non volevo.... non avevo intenzione di maritarmi... soggiunse con voce breve e risoluta, senza guardarlo. — Ma giacchè mi ci avete costretta ho detto di sì.

Alberto tardò alcuni minuti a rispondere.

— Mi ordinate di non venir più in casa vostra? domandò alfine.

— Adesso è inutile, diss’ella con un sorriso glaciale e superbo. — Ho bruciato le mie navi.


La notizia di quel matrimonio non tardò a circolare fra gli amici di casa Manfredini: dapprincipio discretamente, in seguito con maggior sicurezza. Da Marchi avea diradato le sue visite, Velleda lo trattava con maggior riserbo, ma sapevasi che dalle due parti stavansi trattando delle quistioni d’interesse, e ciò era perfettamente in regola.

— Ardon gl’incensi! disse una volta l’Armandi sortendo insieme ad Alberto da casa Manfredini.

Velleda aveva alquanto raddolcito il suo contegno