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— La povera Adelina sta male, sai! gli disse. Non si sa che diavolo abbia; anche il dottore ci ha perso il latino. Entra pure. Adele, c’è qui Alberto!
Il giovane incontrò gli occhi di Adele, ardenti come carboni, che lo fissavano senza dir motto; tutti i muscoli del viso di lei sembrarono decomporsi. Il dottore stava a capo del letto, e teneva fra le dita il polso dell’inferma; ei volse al sopravvenuto uno sguardo che sembrava scrutatore.
— Chi è quel signore? domandò il medico al signor Forlani sottovoce.
— Mio nipote Alberto, il fidanzato della mia figliuola.
— È strano! borbottò l’altro. M’era parso di sentir trasalire il polso.
E si mise nuovamente a guardare in viso l’inferma che stava immobile, cogli occhi fissi, le guance accese, le manine che stringevano di quando in quando convulsivamente la rimboccatura della coperta, e le labbra agitate da un tremito nervoso.
La camera era quasi al buio; si udiva solo il tic-tac dell’orologio ed il cinguettio degli uccelli sul davanzale della finestra.
— Avevamo passato tranquillamente la sera in casa, diceva il signor Forlani a mo’ d’informazione; la mia bambina era sana e allegra come sempre: ella non ha chiamato una sola volta in tutta la notte; la Gegia, che dorme vicino alla sua camera, non l’udì muoversi, nè fiatare; stamane poi me la trova in quello stato, e colla finestra spalancata, per il gran vento di stanotte,