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230 | Don Candeloro e C.i |
trionfante di lei che si inebbriava all’omaggio di quel bell’avventuriero d’amore disputato e ammirato — il sottile eccitamento della danza — la carezza della musica che accompagnava la carezza delle parole — gli occhi bramosi che cercavano i suoi, e il fulgore ch’essa vi scorse allorchè chinò il capo biondo ad assentire: — Sì! Sì! — con qual altra ebbrezza e qual smarrimento negli occhi ella ascese la prima volta quella scala e spinse quell’uscio, premendosi forte il manicotto sul seno ansante! Con qual altro sbigottimento vi ritornò poi, guardandosi intorno e buttandosi a sedere appena entrata, col viso pallido e una ruga sottile fra le sopracciglia. — Mi son fatta aspettare, non è vero? — No... non importa ormai.... Sei qui!... — Ah, son mezzo morta.... Sapeste!... Mio marito!... Quel portinaio che mi vede passare! — Insomma tutte quelle cose che non vedeva prima, quando aveva gli occhi abbacinati dal sogno d’oro. — Lasciatemi, Alberto!... Ve ne prego! Vi prego!...
— Vi lascio. Scusatemi!
— Che vi piglia adesso? Vedete in che stato sono!... Che faccio per voi!...
Gli occhi negli occhi, le mani nelle mani, e la bocca rosea che sorrideva stanca e si offriva sotto