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226 Don Candeloro e C.i

famiglia; poichè l’altro era un uomo di mondo lui pure, della stessa casta e quasi dello stesso casato, bel cavaliere e bel giuocatore alle carte e in amore, che correva alla rovina e alla morte col sorriso alle labbra e il fiore all’occhiello, e sapeva vivere — e morire, al bisogno, evitando ogni scandalo. Egli non le aveva scritto che due o tre lettere, nei casi più urgenti, quando si era trovato proprio coll’acqua alla gola o colla rivoltella sotto il mento. Il male fu che una di quelle lettere, la più breve e grave, l’ultima, cadde in mano del marito, mentre stavano per recarsi a una gran festa, e la carrozza aspettava a piè dello scalone, e la povera donna già pettinata e vestita, pallida come una morta, seduta dinanzi a un gran fuoco, aspettava i gioielli che aveva impegnati per l’amante, e che questi le aveva promesso di restituirle per quella sera a ogni costo. — A ogni costo. — Perciò le chiedeva scusa, scrivendole, se per la prima volta, e l’ultima, mancava alla sua parola. La poveretta ne aveva già il triste presentimento, giacchè aveva il cuore stretto da quella immensa angoscia ed era così pallida dinanzi a quel gran fuoco? Aveva visto balenare l’idea del suicidio, ed era stata la pietosa attrattiva che l’avea data a lui, quando lo aveva visto perdere tutto,