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14 | Don Candeloro e C.i |
Però l’ignoranza e l’ingratitudine del pubblico gli facevano cascare le braccia. Non valeva proprio la pena di sudare coi libri, e spendere dei tesori per dare roba buona a degli asini. — Volete lavare la testa all’asino? — Gli stessi burattini recitavano svogliatamente, vestiti come Dio vuole. — Ci si perdeva l’amore dell’arte e d’ogni cosa, parola di gentiluomo! — Dov’erano andati i bei tempi in cui si facevano due rappresentazioni al giorno, la domenica e le feste, e la gente assediava la porta, quand’era annunziato sul cartellone un “personaggio„ nuovo? Don Candeloro, colla barba di otto giorni e la zazzera arruffata, passava le giornate intere nella bettola del suocero, a dir corna dei suoi colleghi, o a litigare colla moglie, ora che in casa pareva l’inferno. Grazia, adesso che aveva visto cosa c’era dietro le belle scene impiastricciate, stava con tanto di muso a rammendar cenci anche lei, a stemperar colori, e rompersi braccia e schiena, vociando come un pappagallo per le Artemisie e le Rosalinde, dall’avemaria a due ore di notte; che specie quando il Signore le mandava dei figliuoli (e succedeva una volta all’anno) era proprio un gastigo di Dio.
— Tu non sai far altro, per Maometto! — le rinfacciava il marito furibondo.