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194 Don Candeloro e C.i


— Che disgrazia, figliuola mia!... Scusate se vi chiamo così. Vi tenevo già per figlia mia!... Che crepacuore mi avete dato....



Ecco com’era venuta la vocazione alla povera Donna Agnese. Il cappellano del monastero la citava in esempio alle altre novizie che mostravansi sbigottite nel punto di pronunciare i voti solenni: — Guardate suor Agnese Arlotta! Specchiatevi su di lei che ha provato quel che c’è nel mondo. C’è l’inganno e la finzione. — Imbrogliami che t’imbroglio. — Una cosa sulle labbra e un’altra nel cuore. — E poi che resta alla fine di tante angustie, di tanti pasticci? Un pugno di polvere! Vanitas vanitatum!...

Così, a poco a poco, la poveretta s’era distaccata completamente dalle cose terrene, e s’era affezionata invece all’altare che aveva in cura, al confessore che la guidava sul cammino della salvazione, al cantuccio del dormitorio dov’era il suo letto da tanti anni, al posto che occupava al coro e nel refettorio, al suono della campana che regolava tutte le sue faccenduole,