Pagina:Verga - Don Candeloro e C., 1894.djvu/170

162 Don Candeloro e C.i

dall’altra. Il predicatore montato sul pulpito dipingeva al vivo l’Inferno, come se ci fosse stato. E poi a ogni tratto tuonava, con un vocione spaventoso: — Guai! Guai!

Come tante cannonate. Le donne raccolte in branco dentro il recinto a destra della navata, chinavano il capo sgomente, a ogni colpo, e lo stesso don Gennaro Pepi, ch’era don Gennaro Pepi! si picchiava il petto in pubblico, e borbottava ad alta voce: — Pietà e misericordia, Signore!

Ma c’era poco da fidarsi, perchè ogni giorno, prima di scorticare il prossimo a quattr’occhi, don Gennaro Pepi tornava a mettersi in grazia di Dio, andando a messa e a confessione, e quanti erano alla predica poi, si sapeva che sarebbero tornati a fare quel che avevano fatto sempre.

— Guai a te, ricco Epulone, che ti sei ingrassato col sangue del povero! — E tu, Scriba e Fariseo, spogliatore della vedova e dell’orfano....

Questa era pel notaio Zacco. E ce n’era per tutti gli altri: pel barone Scampolo che aveva una lite coi RR. PP. cappuccini; per don Luca Arpone, il quale viveva in concubinato colla moglie del fattore; pel fattore che si rifaceva alla sua volta sulla