Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
156 | Don Candeloro e C.i |
che non sapeva frenarsi, singhiozzava addirittura come una bambina, sotto il velo nero. — E Bellonia che doveva udire e inghiottir tutto.
Gonfia, gonfia, le venne in mente all’improvviso l’ispirazione buona.
Terminato il triduo, spenti i lumi e pagate le spese, padre Amore e padre Cicero vennero a ringraziare le signore monache e a prender congedo dalle figlie penitenti, una dopo l’altra, per non destar gelosie. Le poverette figuratevi in quale stato, e padre Cicero cavando di tasca il fazzoletto ogni momento, quasi gli si spezzasse il cuore a quella separazione. A un tratto, in mezzo alla scena muta che succedeva fra padre Amore e suor Celestina, tutt’e due colle lagrime agli occhi, saltò in mezzo anche Bellonia, come una spiritata, e ne fece e disse d’ogni sorta. Pianti, convulsioni, strilli che si udivano dalla piazza, tanto che corsero i vicini. Pecu-Pecu, don Matteo Curcio, ed anche gli sfaccendati della farmacia. E poi, quando vide il parlatorio pieno di gente, Bellonia si mise a gridare che voleva andarsene coi padri liguorini, che ci aveva il cuore attaccato con essi — un putiferio. Saltò su allora la Madre Abbadessa, come una furia, e se la prese con tutti quanti, a cominciare dai liguorini.