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146 | Don Candeloro e C.i |
dei due predicatori forestieri, le suore se li rubavano al confessionale, al parlatorio, li assediavano sino a casa per mezzo del sagrestano, coi dubbi spirituali, coi casi di coscienza, coi vassoi pieni di dolci. Alla madre abbadessa fioccavano le domande delle religiose, le quali chiedevano l’uno o l’altro dei due padri liguorini per confessore straordinario. Invano suor Maria Faustina, che ai suoi anni era nemica di ogni novità, rifiutava il permesso, anche per riguardo a don Matteo Curcio, che era il cappellano ordinario del monastero. Le monache ricorrevano al vicario, all’arciprete, sino al vescovo, inventavano dei peccati riservati, si lamentavano che don Matteo Curcio era duro d’orecchio, e non dava quasi retta: — Gnora sì — Gnora no — Ho inteso — Tiriamo innanzi. — Qualcheduna giunse ad accusarlo di far cascare le penitenti in distrazione, con quella barba sudicia di otto giorni, che in un servo di Dio non ispirava alcuna devozione.
Invece i due padri forestieri, quelli sì che sapevano fare! L’uno, padre Amore, che portava il nome con sè, un bell’uomo che si mangiava l’aria, e faceva tremar la chiesa in certi passi della predica; e padre Cicero, un artista nel suo genere, tutto san