Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
112 | Don Candeloro e C.i |
come se lo vide capitar dinanzi con quel dettato, sano come una lasca, fece il segno della croce: — Monaco tu? Non ci mancherebbe altro adesso! — E vossignoria che vi cresceva qualche cosa? Per arrivare guardiano anche!...
Voi che avreste fatto? Un arnese come Vito Scardo, che puzzava di tutti i sette peccati mortali! Però egli giurava che era un altro, ormai. Lo pigliassero a prova. Tanto disse e tanto fece che il povero guardiano dovette pigliarlo a prova, pel vitto e la tonaca soltanto, frate converso. — Se la tonaca fa questo miracolo, vuol dire ch’è una santa cosa davvero, figliuol mio!
Basta, o che la tonaca abbia fatto il miracolo, o che sia stato il bisogno a far trottare l’asino, Vito Scardo divenne l’esempio della comunità. Bravo, modesto, prudente — le donne, magari, non le guardava neanche, in strada. — E per la cerca poi valeva un Perù; meglio di fra Angelico, ch’è tutto dire. La gente al vederlo così cambiato, che pareva un santo, diceva: — Questa è opera di San Francesco. — E mandava elemosine.
Però c’era ancora quella certa tizia che tirava a fargli perdere il pane — comare Menica la moglie