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Il tramonto di Venere 97

gior cautela, e le fanciullaggini a usci chiusi. Bibì era felice come un Dio, viaggiando da una capitale all’altra, in prima classe, ben vestito, ben pasciuto, a tu per tu cogli impresari e i primi signori del paese che accorrevano a fare omaggio alla sua diva. Se bisognava ecclissarsi qualche volta discretamente dinanzi a loro, lo faceva con un sorriso che voleva dire: — Poveretti! — Le stesse scene di gelosia sembravano combinate apposta per infiorare quel paradiso, come una carezza all’amor proprio di entrambi, una protesta dignitosa dell’amante, e una delicata occasione offerta all’amata di tornare a giurargli e spergiurargli la sua fede: — No, caro!... Lo sai!... Sei tu solo il signore e il padrone... Ecco!



Basta, ora si trattava di non lasciarsi sopraffare da quell’intrigante della Noemi, che le rapiva agenti ed impresari, alla Leda, con tutte le armi lecite e illecite, e le portava via le scritture — una che non aveva dieci chili di polpa sotto le maglie! — E le portava via anche Bibì, il quale si dava il rossetters