Pagina:Verga - Don Candeloro e C., 1894.djvu/102

94 Don Candeloro e C.i

e lui aspettava filosoficamente la dea Fortuna al Caffè Biffi, dalle 5 alle 6, nell’ora in cui anche le matrone s’avventurano in Galleria — oppure tentava di sforzarla — l’instabil Diva — a primiera o al bigliardo, tutte le notti che non consacrava alla dea Venere, come chiamava tuttora la sua Leda, quand’era fortunato alle carte o altrove, o quando non la picchiava, per rifarsi la mano.

Ahimè, sì! L’indegno era arrivato al punto di fare oltraggio ai vezzi per cui aveva delirato, un tempo — per cui i Cresi della terra avevano profuso il loro oro. Le rinfacciava adesso, brutalmente: — Dove sono questi Cresi?

Ah, l’ingrato, che dimenticava quanto gliene fosse passato per le mani di quell’oro; con quanta delicatezza la sua Leda gliene avesse celato spesso la provenienza, per non farlo adombrare, lui che era tanto ombroso, allora! E i sottili artifici, le trepide menzogne, i dolci rimorsi che rendevano attraente l’inganno fatto all’amante, per l’amante stesso, onde legarlo col beneficio! E le care scene di gelosia, e le paci più care!... Che importa il prezzo? Non era lui il suo tesoro, il suo bene?

Ma ciò che ora rendeva furiosa specialmente la po-