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di cose simili d’esser ben avvisato dalli ambasciatori o agenti publici, ch’io tengo alle corti, li quali so molto bene (come lo provò il granduca Cosmo, mio padre) che procedono sempre con molti rispetti, e ben spesso vanno anco risservati in evitar alcuna cosa, che temono che, essendo rissaputa, possa dispiacer alli pren- cipi appresso de’ quali rissiedono; e, se io non avessi in cadauna corte dui o tre amici secreti, che mi avvisassero tutte le cose, senza che l’uno sappia dell’altro, né manco che siano conosciuti da’ miei rapresentanti, vi prometto che non sarei cosi ben avvisato, come reputo d’essere. È vero che questa sorte d’amici mi costano assai; e, perché mi servino tanto meglio e senza dubio d’esser scoperti, non lasso sapere il loro nome neauco alli miei piú intimi secre- tari, venendo le lettere senza sottoscrizione, ma con un contro- segno. che è saputo da me solo. — E di sua bocca mi disse anco quello che scrissi, per le publiche mie de’4 del passato, di colui che le scriveva da questa cittá senza sottoscrizione, che, come ella voleva saper alcuna cosa, la facesse attaccar un pollicino sopra una colonna della chiesa di San Marco, perché sarebbe ben ser- vita; e disse anco nell’istesso tempo al signor Bartolomeo Capello che in questa cittá aveva quattro di quelli tali che le scrivevano in questo modo senza sottoscrizione ; ed ultimamente disse a me che in Spagna aveva sette di questi amici secreti, che invero lo servi- vano eccellentemente. Ragionando un’altra volta con esso granduca e persuadendolo io a non mandar le sue galee in corso nelli mari vicini alle isole e lochi di Vostra Serenitá, dissi che si confidava tanto nella be- nevolenzia sua verso questa serenissima republica, che si teneva per certo che, quando dette sue galee avessero potuto prender in arcipelago una fortezza, nonché dui caramussali voti e con dui scalci sopra, Sua Altezza non lo avrebbe permesso, per divertir li disturbi che avrebbono potuti per ciò venire alla Serenitá Vostra. Mi rispose: — Voglio che sapiate una cosa in molta secretezza, che è vera: ch’io ho un trattato in mano di aver, quando che voglio, la fortezza di Malvasia nella Morea, e per ora non vi ho voluto pen- sare, perché, quando ben avessi essa fortezza, con gran fatica e spesa, per esser cosi lontana da’ miei Stati non la potrei sostenere. Ma vi prometto che, quando la Signoria fosse in termine di po- terla accettare, io la farei prendere e gli la consignarei. Però non resto di tener la pratica viva, anco con qualche piú che mediocre spesa. —