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gioie e me lo diede per consegnarlo all’eccellentissimo signor podestá Barbarigo in gradimento delle sue attenzioni, chiaman- dosi molto contento di lui: pregommi di salutarlo in suo nome e quello dell’arciduchessa, e che gli spiaceva di non poterlo rivedere. Uscito io dalla camera, passò Sua Altezza reale nel- l’anticamera, ch’aveva serrata la portiera, ed ordinò ch’entrase il capitano conte Rados, il quale pur seppe conciliarsi l’amor della corte. A questo pure colle mani proprie per distinzione diede il granduca un bel orologio d’oro, a Cristoforo Minelli una scatola d’oro tempestata di pietre preziose, ed al com- missario Moschini una scatola d’oro del valore di 100 ze- chini circa. Il segretario intimo poi diede una spada d’oro bellissima al capitano delle guardie, colonello conte Piovene, e promise che spedirebbe un regallo al colonello Teri, e se n’era scordato, e per l’iminente partenza non poteva farlo usir dal baullo. Poco doppo a tutto ciò, usila l’arciduchessa con la grande-maitresse , questa mi consegnò una scatola d’oro tempestata di gioie per la casa Burri, venti ungari per il convento di Santa Chiara di monache povere, ch’avevano presentate suppliche, e venticinque ungari per una famiglia povera: caritá della reai principessa. Pas- sarono poi i reali principi ad udire la messa nella vicina capella, si cantarono le littanie e si disse l’orazione da viaggio. Intanto si sono approntate le carrozze, e quella di Loro Altezze reali venne vicino alla capella. Stava attendendo alla porta della medesima l’ambasciatore principe Pio colle dame e cavalieri di casa Burri. Li principi salutarono, al solito, gentilmente tutti; e poi il gran- duca si voltò verso di me dicendomi : — Straticò, addio, mea culpa — battendosi il petto, — sed non maxima, — e montò in carrozza col principe Carlo suo fratello, preceduto dall’arcidu- chessa, la quale sempre ha il primo luoco si in carrozza che a tavola ed in chiesa. Ecco come ebbe fine la reai scena, con tutte quelle circo- stanze che mi sovvengono e le quali possono servire di qualche documento in altro caso dell’avvenire; per il qual oggetto e non per altro fine in veritá le scrissi.