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ogni occasione. Vero è che la cosa della precedenza, dechiarata dall’imperatore con tanta instanza del duca di Fiorenza, gli aveva turbato assai l’animo; e, ora che gli è morta la moglie, fará novi disegni, perché gli pareva quasi esser uscito di tutella, perché pareva che in ogni cosa sua volesse il duca di Fiorenza porvi in un certo modo l’arbitrio suo; il qual mi soleva dire molte volte che la maggior contentezza, che avesse, era di aver il duca di Ferrara per figliolo cosí ossequente. Ma, cosí come il tempo muta le occasioni, cosí le occasioni mutano gli animi, e ora il duca di Ferrara vedrá quello che non potea veder prima, cioè in quanta considerazione el doverá avere per l’avvenire la grandezza del duca di Fiorenza. Del duca d’ Urbino, come suo vicino, non sta molto contento, anzi teme la grandezza di questo prencipe, perché, prosperando cosi, dubita che a qualche tempo non possa nascere disturbo alla sua successione. Del duca di Mantova non accade farne altra considerazione, se non che, insieme con gli altri nominati, ha da pensare che la grandezza di Fiorenza non sia buona per nessun di loro. Vi sono poi i genovesi e lucchesi, li quali stanno in un continuo spavento di questo prencipe. Genovesi, perché sanno che ’l pretende di tórli Sarzana, luoco d’importanza de’confini di Toscana, che giá soleva esser de’ fiorentini; e sanno che ’l pretende azion sopra la Corsica, che fu giá del Stato de’ pisani ; e sanno benissimo che con ogni minima occasione la romperia voluntieri con loro per passar piú oltre: di modo che del duca hanno una grandissima paura. Di lucchesi non bisogna parlar, perché stanno come la quaglia sotto ’1 sparviero, e stanno sempre con questa ansietá d’animo di non andar nelle mani del duca, che li è vicino attorno attorno. Ma il duca, che non vede come averli per esserne patron assoluto della cittá, degli uomini e delli cavedali, li quali sono per la maggior parte in mercanzie e in danari contati sopra cambi, e che conosce che ogni minimo moto saria un disertar quella, perché i cittadini se ne anderiano, abandonando con le facultá loro la patria, come fecero pisani; ed il duca, che vede esser difficile non ad Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato - ni. 11