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di esso di non lassar perir li suoi servitori che sono in bisogno e necessitá. Pertanto, quanto piú posso, lo raccomando con tutto ’l cuore alle eccellentissime Signorie Vostre. lo per me richiedo una sola grazia alle Signorie Vostre, e posso dire: «hunc iiiulum meritis pensandum redite nostrís». La qual grazia non è tanto per Putii mio quanto per vostro: qual è che le Signorie Vostre se degnino ormai lassarmi riposare, perché ormai íngrcrvescit aetas e sono entrato negli anni della senettu. Son alquanto grave di corpo; sono valetudinario, ché patisco di doglia di fianco; sono di natura debile e delicata; ed invero sono al tutto inutile ed è impossibile che mi possi piú partir da casa. E non dico giá questo, perché voglia godere li nostri magistrati qui, alli quali oltra che per la mia insufficienzia io non saria admesso, non sono neanco in potenzia di averli, imperoché, per la parentela che io ho col serenissimo Prencipe, non posso essere né del Consiglio di dieci, né di Zonta del detto Consiglio, né conseglier ; né faccio giá per star in ozio, perché l’ozio mi è nemico; ma solo perché la necessitá e la impotenzia mia cosí mi astringe. E se potesse, non recusaria cargo alcuno, come fin qui non ho recusato, che da u anni in qua quasi tutti li carghi, che ho avuti, gli ho avuti contra la volontá mia e per forza e non gli ho ricusati ; perché, come sanno le Signorie Vostre, io sono stato due fiate censore per forza e con la pena; avogador di comun per forza; a Roma all’obedienzia di papa Adriano; dapoi, ballottato con altri cinque, che vennero a papa Adriano, fui eletto per forza a far residenzia a Roma; venuto qui, subito fui mandato a Fiorenza, ch’era in tumulto ed in arme, per forza medesimamente e con pena; e sempre ho cercato di commodarmi non alla volontá mia ma delle eccellentissime Signorie Vostre. Ma in quelli carghi, che ormai piú non posso, prego le Signorie Vostre che m’abbino rispetto e pietá, perché in quel che io vaglio e posso dirò una clausola de Cicerone in una sua epistola: «Follie eor ei studium meum et opera, sine ulta exceptione laboris aut occupationis aut temporis ; grati am autem atque auctori/atem cum hac exceptione: quantum valeatn quantumque possim». Dixi .