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instanza richiesta una cosa e dimandatala per grazia necessaria alle impossibilitá del duca, e che ora, che s’è conseguita, si voglia consigliare e meglio maturare: non doversi perciò dolere de’ suoi travagli l’infermo prencipe, se, cercando quiete, fa egli nascere occasione di molestie maggiori. La ripugnanza di Sua Santitá alle prime instanze essere stata superata dalle preghiere e dall’efficacia di chi le aveva portate: ora rimaner queste deluse, e nel conspetto del mondo dispreggiato il favore, che s’era preteso di riceverne. Le difficoltá non essere tali, che non si possono aggiustare, e i gran negozi non potersi finire in un solo ragionamento. Non volere Sua Beatitudine sollecitare il duca a quello di che può essersi pentito; ma esser ragionevole che o s’escluda o si concluda il negozio, perché si potesse in ogni evento pensare quello che convenisse, sapendosi molto bene che per la grave etá di Sua Altezza era mutata la primiera forma del governo, non ascoltando piú chi ricorreva alle sue camere, anzi lasciando ne’ ministri la libertá, con troppo pregiudizio alla sua conscienza e riputazione; e che perciò non si movesse di Roma il Donato, se di quest’ultimo uffizio della Santitá Sua non riceveva risposta. E cosí egli fece, per non accrescere con la sua partenza il sospetto dell’esclusione del negozio, o per non deteriorare le condizioni nel volerlo ripigliare; anzi scrisse al duca vivamente, consigliandolo a non mutare sentenza e a sollevarsi con Dio e con i sudditi d’un peso importabile a’ suoi anni e ai suoi mali, assicurandolo che migliorare il negozio non si poteva e abbandonarlo non era a proposito, e che maggiore gloria sarebbe la fermezza di resoluzione si grande che ricadere negl’istessi mali, che l’avevano persuasa. Col qual uffizio, esposto con la maniera dello scrivere di quel ministro, si disse che il duca intieramente in lui si rimettesse e che al qui sotto notato accordo si devenisse.