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Si commosse il duca a quest’offizio, e, avendo ricevutone’ propri appartamenti e fatto servire molto alla grande l’ambasciatore, come ministro di si gran prencipe, si dolse poi d’averlo tanto accarezzato, dubitando che con tali dimostrazioni non s’accrescesse la gelosia, che del suo negoziato si sarebbe sentito in Roma, dove con espresso corriere lo comunicò per simulare la sua fede e la sua volontá: ed al conte Gambara rispose che alla pietá di Sua Maestá cesarea rendeva grazie immortali e confessava l’onore per singolarissimo; ma, quanto all’offerta del Montefeltro, liberamente dirgli che riconosceva quanto aveva da’ sommi pontefici, né da altri sperava e pretendeva cosa alcuna. Al che l’ambasciatore replicò che tal risposta non poteva pregiudicare alle ragioni di Sua Maestá, quando avesse voluto vivificargliele; ma che, trovandosi Sua Altezza aliena da beneficare il suo sangue, non voleva affaticarsi a persuaderla, anzi tener ordine di lasciarla ne’ sensi propri: e cosí si comiatò poco sodisfatto del suo negozio, e molto piú che, col pubblicarlo, ne rimanesse offeso il suo signore e se medesimo. Aveva intanto il duca appoggiato il governo dello Stato a otto cittadini eletti ad arbitrio delle cittá medesime (fra le quali fu segnalata la elezione della cittá di Pesaro, cavando dalla corte Giovanni Ondedei, per nobiltá e per integerrima virtú riguardevole cittadino, e da questi, ricevuto il giuramento di fedeltá, fu per molti mesi amministrata la giustizia con l’istesse forme, che da’ prencipi stessi erano solite usarsi. E, postasi Sua Altezza a riveder e rassettare le cose domestiche, pensava, col matrimonio della nipote e col lasciar reggere ad altri, d’aver riassunta la quiete, che per la morte del figliuolo avea perduto, quando inaspettatamente arrivò da Roma monsignor Pavoni, spedito dal pontefice a richiedere a Sua Altezza che, per comprobare con atto generoso e sussistente la sua devozione e fede verso santa Chiesa, e per quiete sua propria e della sua vecchiezza, si contentasse di consegnarli la fortezza di San Leo, ché, come quella a cui i fiorentini possono aspirare, terminerebbe ogni discordia e quieterebbe ogni gelosia: tanto piú che col motivo fatto dall’imperatore, zio carnale del granduca, necessitava