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e tutti col cuore piangevano e compativano cosí terribile mutazione della loro fortuna. Vi fu chi ne scrisse al duca, ma le lettere non capitarono. Altri pensarono d’amazzar i comici e li servitori, e fu anco consigliato d’adoperare mezi piú potenti e risoluti, e si sarebbero forse tentati, se alto decreto del cielo non preveniva li consegli umani, accellerando grandissime ruine. Perché, condottosi il prencipe con questi stessi comici ne’ giorni estivi ad Urbino, e postosi a comparire ogni giorno sui palchi e a giocar tutta la notte e a guidar cocchi, con altri disordini ed eccessi, il giorno di san Pietro dell’anno 1623, quando quelli della sua camera aspettavano che si svegliasse, lo trovarono, giá passato il mezo giorno, morto nel proprio letto e terminata con improvviso caso la sua antica e gloriosissima famiglia. Lo cui funesto ed orribile accidente dovendosi rappresentare al padre, andò il vescovo di Pesaro, Malatesta Baglioni, che, come sopraintendente della casa, stava allora appresso il prencipe, a portarne la novella in persona, e stimò espediente notificarla con biglietto, con dire solamente che il prencipe era morto. Stava il duca nel letto, assentito di podagra; ed entrato un aiutante di camera col biglietto, gli disse il duca che lo riponesse con l’altre lettere, perché prima della cena si sarebbero lette tutte insieme. Replicò il servitore ch’il vescovo era alla porta per parlar a Sua Altezza. Allora il duca lesse il biglietto, e, senza prorompere neanco in un sospiro, introdusse il vescovo; e, inteso il successo e aquietate le lagrime degli altri, senza spenderne pur una delle proprie, diede ordine della sepoltura del figliolo, e fece in quella sera le medesime fonzioni che era solito di fare, a ciel sereno cenando, con farsi leggere italiano e spagnolo, né mai dinotando acerbitá nessuna nell’animo suo, che apparve nei gesti e nelle parole cosí tranquillo, che tutti piú parlavano di tanta costanza che dell’accidente medesimo. Del quale discorrendosi poi in camera d’un gran prencipe, investigando da qual cagione era proceduta tanta fermezza nel duca e perché avesse cosí disprezzato un caso che averebbe commosso, se non a pietá, almeno a dolore il piú fiero uomo della terra, sebene fu detto doversi attribuire alla