non l’era. Non è questo dunque un guadagno sulla monetazione, e questa parte si paga egualmente da quelli che richieggono dalla zecca l’oro affinato non coniato. Ma l’altra parte, se non un profitto di monetazione, sembrerebbe almeno un giusto compenso delle spese che io dissi dapprima mai non potersi ottenere dal commercio. Cambiati i nomi svanirà la difficoltà. Il commercio ha bisogno d’oro affinato a 24 caratti per gli usi fabrili. Il doratore, il battitore Veneto o Fiorentino paga la sola spesa fissata nella zecca a titolo di cementazione, e ne riceve l’oro affinato in barra. Ma il negoziante che vuole vendere agli artisti lontani la materia dell’arte loro, non può esibire ai medesimi oro in barra; costerebbe troppo il verificare la purezza di questo titolo. L’impronto dello zecchino la guarentisce. Devono adunque li zecchini Fiorentini e Veneziani apprezzarsi in commercio assai più che lo stess’oro ridotto in pasta. Altronde la cementazione fatta in grande da persone esperimentatissime costa assai meno che l’affinamento che farebbe ciascun particolare. Il sig. Compayre assicurava non potersi fare nella zecca di Torino a meno di 30 soldi l’oncia (V. cit. opera di Neri mem. XIX),