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la quantità di pioggia, che deve ciascun anno innaffiare le sue campagne. Per dare una maggior luce a questa importantissima massima, conviene analizzare il valore della moneta che suol dirsi numerario, sorgente a mio credere di tutti gli errori, e di tutti i disordini in questa materia.



CAP.

    come le cambiali. Fingiam’ora, che dopo introdotta la moneta di carta, il Principe, cui nulla costa una tale moneta, ne andasse distribuendo sempre più, talchè comprasse nuove merci dai sudditi colla sua carta, certa cosa è che perderanno di pregio i suoi biglietti a misura che si moltiplicheranno, e per quanto restino costanti ai medesimi le denominazioni o rappresentazioni di lire assegnate dal Principe, corrisponderanno però sempre ad una minor quantità di merci, il che vuol dire, che sarà diminuito il loro valore, malgrado che n’abbia il Principe. Fingiamo finalmente, che volendo far uso il Principe del suo arbitrio nella valutazione delle monete, ordinasse, che i biglietti denominati prima cinquanta lire s’abbiano per eguali in valore a quelli ch’erano denominati cento lire. Qual confusione non nascerebbe ne’ popoli da una tal legge? Non è egli chiaro, che vedendosi i biglietti sottoposti alle variazioni capricciose introdotte dall’autorità sovrana, perderebbero ogni credito, ed alcuno più non li vorrebbe ricevere (toltone i creditori, che per la legge non potrebbero farne a meno) ma si cambiarebbero in appresso merci per merci, e resterebbero oziosi e di niun valore i biglietti nelle mani di coloro, che ultimi li possedessero? Vedesi da tutte queste supposizioni, che nemmeno nel caso che sia priva una nazione d’ogni commercio esterno, nè nelle circostanze dei Romani (relativamente a quali voglionsi da taluni giustificare le dottrine degli antichi Giureconsulti) la moneta non dipende giammai dall’arbitrio del Principe quanto al suo valore, ma lo deve aver proprio risultante dalla estimazione che ne fanno i popoli, come ho spiegato di sopra.