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putto, che ride, che tiene a guisa di Angioletto un libro in mano, il quale par che rida tanto naturalmente, che muove a riso chi lo guarda, né lo vede persona di natura malinconica che non si rallegri; èvvi ancora un S. Girolamo, ed è colorita di maniera sì maravigliosa e stupenda, che i pittori ammirano quella per colorito mirabile, e che non si possa quasi dipignere meglio. Fece similmente quadri et altre pitture per Lombardia a molti signori; e fra l’altre cose sue, due quadri in Mantova al duca Federigo II, per mandare a lo imperatore, cosa veramente degna di tanto principe. Le quali opere vedendo Giulio Romano, disse non aver mai veduto colorito nessuno ch’aggiugnesse a quel segno: l’uno era una Leda ignuda, e l’altro una Venere, sì di morbidezza colorito e d’ombre di carne lavorate, che non parevano colori ma carni; era in una un paese mirabile, né mai lombardo fu che meglio facesse queste cose di lui, et oltra di ciò, capegli sì leggiadri di colore e con finita pulitezza sfilati e condotti, che meglio di quegli non si può vedere. Eranvi alcuni amori, che de le saette facevano prova su una pietra, quelle d’oro e di piombo, lavorati con bello artificio, e, quel che più grazia donava alla Venere, era una acqua chiarissima e limpida, che correva fra alcuni sassi e bagnava i piedi di quella e quasi nessuno ne ocupava. Onde nello scorgere quella candidezza con quella dilicatezza, faceva agl’occhi compassione nel vedere. Perché certissimamente Antonio meritò ogni grado et ogni onore vivo e con le voci e con gli scritti ogni gloria dopo la morte. Dipinse ancora in Modena una tavola d’una Madonna tenuta da tutti i pittori in pregio e per la maggior pittura di quella città. In Bologna parimente è di sua mano in casa gl’Arcolani, gentiluomini bolognesi, un Cristo che ne l’orto apare a Maria Madalena, cosa molto bella. In Reggio era un quadro bellissimo e raro, che non è molto che passando Messer Luciano Palavigino, il quale molto si diletta delle cose belle di pittura, e vedendolo non guardò a spesa di danari, e come avesse compero una gioia, lo mandò a Genova nella casa sua. È in Reggio medesimamente una tavola, drentovi una Natività di Cristo, ove partendosi da quello uno splendore fa lume a’ pastori et intorno alle figure che lo contemplano, e fra molte considerazioni avute in questo suggetto, vi è una femina che volendo fisamente guardare verso Cristo, e per non potere gli occhi mortali sofferire la luce della sua divinità, che con i raggi par che percuota quella figura, si mette la mano dinanzi agl’occhi, tanto bene espressa, che è una maraviglia. Èvvi un coro di Angeli sopra la capanna che cantano, che son tanto ben fatti che par che siano piutosto piovuti dal cielo, che fatti dalla mano d’un pittore. È nella medesima città un quadretto di grandezza di un piede, la più rara e bella cosa che si possa vedere di suo di figure piccole, nel quale è un Cristo ne l’orto, pittura finta di notte, dove l’Angelo aparendogli col lume del suo splendore fa lume a Cristo, che è tanto simile al vero che non si può né immaginare né esprimere meglio; giuso a’ piè del monte in un piano si veggono tre Apostoli che dormano, sopra’ quali fa ombra il monte dove Cristo ora, che dà una forza a quelle figure che non è possibile; e più là, in un paese lontano, finto l’apparire della aurora; e si veggono venire da l’un de’ lati alcuni soldati con Giuda; e nella sua piccolezza questa istoria è tanto bene intesa, che non si può né di pazienza, né di studio