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4 TERZA PARTE

te de la palma lavorate con sì grande arte e maravigliosa, che altro che la pazienzia e l’ingegno di Lionardo non lo poteva fare. La quale opera altrimenti non si fece: onde il cartone è oggi in Fiorenza nella felice casa del Magnifico Ottaviano de’ Medici donatogli non ha molto dal zio di Lionardo. Dicesi che ser Piero da Vinci, essendo alla villa, fu ricercato domesticamente da un suo contadino, il quale, d’un fico da lui tagliato in sul podere, aveva di sua mano fatto una rotella, che a Fiorenza gnene facesse dipignere; il che egli contentissimo fece, sendo molto pratico il villano nel pigliare uccelli e ne le pescagioni, e servendosi grandemente di lui ser Piero a questi esercizii. Laonde, fattala condurre a Firenze, senza altrimenti dire a Lionardo di chi ella si fosse, lo ricercò che egli vi dipignesse suso qualche cosa. Lionardo, arrecatosi un giorno tra le mani questa rotella, veggendola torta, mal lavorata e goffa la dirizzò col fuoco, e datala a un torniatore, di roza e goffa che ella era, la fece ridurre delicata e pari. Et appresso ingessatala et acconciatala a modo suo, cominciò a pensare quello che vi si potesse dipignere su, che avesse a spaventare chi le venisse contra, rappresentando lo effetto stesso che la testa già di Medusa. Portò dunque Lionardo per questo effetto ad una sua stanza, dove non entrava se non egli solo, lucertole, ramarri, grilli, serpe, farfalle, locuste, nottole et altre strane spezie di simili animali: da la moltitudine de’ quali, variamente adattata insieme, cavò uno animalaccio molto orribile e spaventoso, il quale avvelenava con l’alito e faceva l’aria di fuoco. E quello fece uscire d’una pietra scura e spezzata, buffando veleno da la gola aperta, fuoco dagl’occhi e fumo dal naso sì stranamente, che pareva monstruosa et orribile cosa affatto. E penò tanto a farla, che in quella stanza era il morbo degli animali morti troppo crudele, ma non sentito da Lionardo, per il grande amore che portava nell’arte. Finita questa opera, che più non era ricerca, né dal villano né dal padre, Lionardo gli disse, che ad ogni sua comodità mandasse per la rotella, che quanto a lui era finita. Andato dunque ser Piero una mattina a la stanza per la rotella e picchiato alla porta, Lionardo gli aperse, dicendo che aspettasse un poco; e ritornatosi nella stanza acconciò la rotella al lume in sul leggio et assettò la finestra, che facesse lume abbacinato, poi lo fece passar dentro a vederla. Ser Piero nel primo aspetto, non pensando alla cosa, subitamente si scosse, non credendo che quella fosse rotella, né manco dipinto quel figurato che e’ vi vedeva. E tornando col passo a dietro, Lionardo lo tenne, dicendo: "Questa opera serve per quel che ella è fatta. Pigliatela, dunque, e portatela, ché questo è il fine, che dell’opere s’aspetta". Parse questa cosa più che miracolosa a ser Piero, e lodò grandissimamente il capriccioso discorso di Lionardo; poi, comperata tacitamente da un merciaio un’altra rotella dipinta d’un cuore trapassato da uno strale, la donò al villano che ne li restò obligato sempre mentre che e’ visse. Appresso vendé ser Piero quella di Lionardo secretamente in Fiorenza a certi mercatanti, cento ducati. Et in breve ella pervenne a le mani del duca di Milano, vendutagli 300 ducati da detti mercatanti. Fece poi Lionardo una Nostra Donna in un quadro, ch’era appresso papa Clemente VII, molto eccellente. E fra l’altre cose che v’erano fatte, contrafece una caraffa piena d’acqua con alcuni fiori dentro, dove oltra la maraviglia della vivezza, aveva imitato