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ringraziano Iddio; et un numero di vasi, ch’egli finge che abbino spogliato l’Egitto, con bellissimi garbi e varie forme, e femine con acconciature di testa molto varie, la quale finita lasciò per amorevolezza a ser Raffaello; al quale fu cara tanto, quanto se gli avesse lassato il priorato di San Lorenzo. La qual tela fu tenuta di poi in pregio e lodata, e dopo la morte di ser Raffaello rimase, con le altre sue robe, a Domenico di Sandro, pizzicagnolo, suo fratello. Partendo dunque di Firenze, Perino lasciò in abbandono l’opera de’ Martiri, della quale rincrebbe grandemente; e certo se ella fusse stata in altro luogo che in Camaldoli, l’arebbe egli finita; ma considerato che gli uffiziali della sanità avevano preso per gli appestati lo stesso convento di Camaldoli, volle più tosto salvare sé che lasciar fama in Fiorenza, bastandoli aver mostrato quanto e’ valeva nel disegno. Rimase il cartone e l’altre sue robe a Giovanni di Goro orefice suo amico, che si morì nella peste; e dopo lui pervenne nelle mani del Piloto, che lo tenne molti anni spiegato in casa sua, mostrandolo volentieri a ogni persona d’ingegno come cosa rarissima; ma non so già dove e’ si capitasse dopo la morte del Piloto. Stette fuggiasco molti mesi dalla peste Perino in più luoghi, né per questo spese mai il tempo indarno che egli continovamente non disegnasse e studiasse cose dell’arte; e cessata la peste se ne tornò a Roma et attese a far cose piccole, le quali io non narrerò altrimenti. Fu l’anno 1523 creato papa Clemente Settimo, che fu un grandissimo refrigerio all’arte della pittura e della scultura, state da Adriano Sesto, mentre che e’ visse, tenute tanto basse, che non solo non si era lavorato per lui niente, ma non se ne dilettando, anzi più tosto avendole in odio, era stato cagione che nessuno altro se ne dilettasse, o spendesse, o trattenesse nessuno artefice, come si è detto altre volte. Per il che Perino allora fece molte cose nella creazione del nuovo Pontefice. Deliberandosi poi di far capo de l’arte, in cambio di Raffaello da Urbino già morto, Giulio Romano e Giovan Francesco detto il Fattore, acciò che scompartissino i lavori agli altri secondo l’usato di prima, Perino, che aveva lavorato un’arme del Papa in fresco col cartone di Giulio Romano sopra la porta del cardinal Ceserino, si portò tanto egregiamente, che dubitarono non egli fusse anteposto a loro, perché, ancora che egli avessino nome di discepoli di Raffaello e d’avere eredato le cose sue, non avevano interamente l’arte e la grazia, che egli coi colori dava alle sue figure, eredato. Presono partito, adunque, Giulio e Giovan Francesco d’intrattenere Perino; e così l’anno santo del Giubileo 1525 diedero la Caterina, sorella di Giovan Francesco, a Perino per donna, acciò che fra loro fusse quella intera amicizia, che tanto tempo avevono contratta, convertita in parentado. Laonde, continovando l’opere che faceva, non vi andò troppo tempo che, per le lode dategli nella prima opera fatta in San Marcello, fu deliberato dal priore di quel convento e da certi capi della Compagnia del Crocifisso, la quale ci ha una cappella fabbricata dagli uomini suoi per ragunarvisi, che ella si dovesse dipignere; e così allogarono a Perino questa opera, con speranza di avere qualche cosa eccellente di suo. Perino fattovi fare i ponti, cominciò l’opera; e fece nella volta a mezza botte, nel mezzo, un’istoria quando Dio, fatto Adamo, cava della costa sua Eva sua donna, nella quale storia si vede