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innanzi un suo pensiero, che fu questo: "Se bene egli è pieno", diss’egli, "costì ogni cosa, avendo voi cotesta fantasia, che è certo buona e da lodare, egli è qua al dirimpetto dove è il San Paolo di sua mano, non meno buona e bella figura che si sia ciascuna di queste della cappella, uno spazio: agevolmente potrete mostrarci quello che voi dite, faccendo un altro Apostolo allato, o volete a quel San Piero di Masolino, o allato al San Paolo di Masaccio". Era il San Piero più vicino alla finestra et eraci migliore spazio e miglior lume, et oltre a questo non era manco bella figura che il San Paolo. Adunque ognuno confortavano Perino a fare, perché avevano caro veder questa maniera di Roma; oltreché molti dicevano che egli sarebbe cagione di levar loro del capo questa fantasia, tenuta nel cervello tante decine d’anni, e che s’ella fusse meglio, tutti correrebbono a le cose moderne. Per il che, persuaso Perino da quel maestro, che gli disse in ultimo che non doveva mancarne, per la persuasione e piacere di tanti begli ingegni, oltre che elle erano due settimane di tempo quelle che a fresco conducevano una figura, e che loro non mancherebbono spender gli anni in lodare le sue fatiche, si risolvette di fare, se bene colui che diceva così era d’animo contrario, persuadendosi che egli non dovesse fare però cosa molto miglior di quello che facevano allora quegli artefici che tenevano il grado de’ più eccellenti. Accettò Perino di far questa prova, e chiamato di concordia Messer Giovanni da Pisa priore del convento, gli dimandarono licenzia del luogo per far tal opera, che invero di grazia e cortesemente lo concedette loro; e così preso una misura del vano, con le altezze e larghezze, si partirono. Fu dunque fatto da Perino in un cartone un Apostolo in persona di S. Andrea e finito diligentissimamente, onde era già Perino risoluto voler dipignerlo, et avea fatto fare l’armatura per cominciarlo; ma inanzi a questo nella venuta sua molti amici suoi, che avevano visto in Roma eccellentissime opere sue, gli avevano fatto allogare quell’opera a fresco ch’io dissi, acciò lasciasse di sé in Fiorenza qualche memoria di sua mano che avesse a mostrare la bellezza e la vivacità dell’ingegno che egli aveva nella pittura, et acciò che fusse cognosciuto e forse, da chi governava allora, messo in opera in qualche lavoro d’importanza. Erano in Camaldoli di Fiorenza allora uomini artefici che si ragunavano a una Compagnia, nominata de’ Martiri, i quali avevano avuto voglia più volte di far dipignere una facciata, che era in quella, drentovi la storia di essi martiri quando e’ sono condennati alla morte dinanzi a’ due imperadori romani che, dopo la battaglia e presa loro, gli fanno in quel bosco crocifiggere e sospender a quegli alberi. La quale storia fu messa per le mani a Perino, et ancora che il luogo fusse discosto et il prezzo piccolo, fu di tanto potere l’invenzione della storia e la facciata che era assai grande, che egli si dispose a farla; oltreché egli ne fu assai confortato da chi gli era amico, atteso che questa opera lo metterebbe in quella considerazione che meritava la sua virtù fra i cittadini che non lo conoscevano, e fra gli artefici suoi in Fiorenza, dove non era conosciuto se non per fama. Deliberatosi dunque a lavorare, prese questa cura, e fattone un disegno piccolo, che fu tenuta cosa divina, e messo mano a fare un cartone grande quanto l’opera, lo condusse (non si partendo d’intorno a quello) a un termine che tutte