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prontezza molto naturale; oltraché i casamenti e l’altre figure hanno del buono e del bello in ogni loro atto. Non seguitò più giù, venendoli male; e guarito cominciò, l’anno 1523, la peste, la quale fu di sì fatta sorte in Roma, che se egli volle campar la vita, gli convenne far proposito partirsi. Era in questo tempo in detta città il Piloto orefice, amicissimo e molto familiare di Perino, il quale aveva volontà partirsi; e così desinando una mattina insieme, persuase Perino ad allontanarsi e venire a Fiorenza, atteso che egli era molti anni che egli non ci era stato, e che non sarebbe se non grandissimo onor suo farsi conoscere e lasciare in quella qualche segno della eccellenza sua. Et ancora che Andrea de’ Ceri e la moglie che l’avevano allevato fussino morti, nondimeno egli, come nato in quel paese, ancor che non ci avesse niente, ci aveva amore. Onde non passò molto che egli et il Piloto una mattina partirono, et in verso Fiorenza ne vennero. Et arrivati in quella, ebbe grandissimo piacere riveder le cose vecchie dipinte da’ maestri passati che già gli furono studio nella sua età puerile, e così ancora quelle di que’ maestri che vivevano allora de’ più celebrati e tenuti migliori in quella città, nella quale per opera degl’amici gli fu allogato un lavoro, come di sotto si dirà. Avenne che, trovandosi un giorno seco per fargli onore molti artefici, pittori, scultori, architetti, orefici et intagliatori di marmi e di legnami, che secondo il costume antico si erano ragunati insieme, chi per vedere et accompagnare Perino et udire quello che e’ diceva, e molti per veder che differenza fusse fra gli artefici di Roma e quegli di Fiorenza nella pratica - et i più v’erano per udire i biasimi e le lode che sogliono spesso dire gli artefici l’un de l’altro - avvenne, dico, che così ragionando insieme d’una cosa in altra, pervennero, guardando l’opere e vecchie e moderne per le chiese, in quella del Carmine per veder la cappella di Masaccio. Dove guardando ognuno fisamente e moltiplicando in varii ragionamenti in lode di quel maestro, tutti affermarono maravigliarsi che egli avesse avuto tanto di giudizio che egli in quel tempo, non vedendo altro che l’opere di Giotto, avesse lavorato con una maniera sì moderna nel disegno, nella imitazione e nel colorito, che egli avesse avuto forza di mostrare, nella facilità di quella maniera, la difficultà di quest’arte; oltreché nel rilievo e nella resoluzione e nella pratica non ci era stato nessuno di quegli che avevano operato, che ancora lo avesse raggiunto. Piacque assai questo ragionamento a Perino, e rispose a tutti quegli artefici, che ciò dicevano, queste parole: "Io non niego quel che voi dite che non sia, e molto più ancora, ma che questa maniera non ci sia chi la paragoni negherò io sempre; anzi dirò, se si può dire, con sopportazione di molti, non per dispregio, ma per il vero, che molti conosco e più risoluti e più graziati; le cose de’ quali non sono manco vive in pittura di queste, anzi molto più belle. E mi duole in servigio vostro, io che non sono il primo dell’arte, che non ci sia luogo qui vicino da potervi fare una figura che, innanzi che io mi partisse di Fiorenza, farei una prova, allato a una di queste in fresco medesimamente, acciò che voi col paragone vedeste se ci è nessuno fra i moderni che l’abbia paragonato". Era fra costoro un maestro tenuto il primo in Fiorenza nella pittura, e come curioso di veder l’opere di Perino e forse per abbassarli lo ardire, messe