Pagina:Vasari - Le vite de’ piu eccellenti pittori, scultori, et architettori, 3-1, 1568.djvu/393

in maggior desiderio dell’arte, ardeva continuamente di pervenire in qualche grado vicino a quelli, sì che con le opere desse nome a sé et utile, come l’avevano dato coloro di chi egli si stupiva vedendo le bellissime opere loro. E mentre che egli considerava alla grandezza loro et alla infinita bassezza e povertà sua, e che altro che la voglia non aveva di volere aggiugnerli, e che senza avere chi lo intrattenesse che potesse campar la vita gli conveniva, volendo vivere, lavorare a opere per quelle botteghe oggi con uno dipintore e domane con un altro, nella maniera che fanno i zappatori a giornate; e quanto fusse disconveniente allo studio suo questa maniera di vita, egli medesimo per dolore se ne dava infinita passione non potendo far que’ frutti, e così presto, che l’animo e la volontà et il bisogno suo gli promettevano. Fece adunque proponimento di dividere il tempo, la metà della settimana lavorando a giornate et il restante attendendo al disegno. Aggiugnendo a questo ultimo tutti i giorni festivi, insieme con una gran parte delle notti, e rubando al tempo il tempo, per divenire famoso e fuggir dalle mani d’altrui più che gli fusse possibile. Messo in esecuzione questo pensiero, cominciò a disegnare nella cappella di papa Giulio, dove la volta di Michelagnolo Buonarroti era dipinta da lui, seguitando gli andari e la maniera di Raffaello da Urbino. E così continuando a le cose antiche di marmo, e sotto terra a le grotte per la novità delle grottesche, imparò i modi del lavorare di stucco e, mendicando il pane con ogni stento, sopportò ogni miseria per venir eccellente in questa professione. Né vi corse molto tempo ch’egli divenne, fra quegli che disegnavano in Roma, il più bello e miglior disegnatore che ci fusse; atteso che meglio intendeva i muscoli e le difficultà dell’arte negli ignudi che forse molti altri, tenuti maestri allora de’ migliori. La qual cosa fu ancora fra molti signori e prelati e’ fosse conosciuto, e, massimamente, che Giulio Romano e Giovan Francesco detto il Fattore, discepoli di Raffaello da Urbino, lodatolo al maestro pur assai, fecero ch’e’ lo volle conoscere e vedere l’opere sue ne’ disegni. I quali piaciutili, et insieme col fare la maniera e lo spirito et i modi della vita, giudicò lui, fra tanti quanti ne aveva conosciuti, dover venire in gran perfezzione in quell’arte. Essendo intanto state fabbricate da Raffaello da Urbino le logge papali che Leon Decimo gli aveva ordinate, ordinò il medesimo che esso Raffaello le facesse lavorare di stucco e dipignere e metter d’oro come meglio a lui pareva. E così Raffaello fece capo di quell’opera, per gli stucchi e per le grottesche, Giovanni da Udine, rarissimo et unico in quegli, ma più negli animali e frutti et altre cose minute; e perché egli aveva scelto per Roma e fatto venir di fuori molti maestri, aveva raccolto una compagnia di persone valenti ciascuno nel lavorare, chi stucchi, chi grottesche, altri fogliami, altri festoni e storie, et altri altre cose; e così, secondo che eglino miglioravano, erano tirati innanzi e fatto loro maggior salari. Laonde, gareggiando in quell’opera, si condussono a perfezzione molti giovani che furon poi tenuti eccellenti nelle opere loro. In questa compagnia fu consegnato Perino a Giovanni da Udine da Raffaello, per dovere con gli altri lavorare e grottesche e storie, con dirgli che secondo che egli si porterebbe sarebbe da Giovanni adoperato. Lavorando dunque Perino per