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E se bene penò sei anni a far questa piccola cosa, quando l’opere sono condotte perfettamente non si dee guardare se più presto o più tardi sono state finite, se ben’è più lodato chi presto e bene conduce le sue opere a perfezzione. E chi si scusa, quando l’opere non sodisfanno, se non è stato a ciò forzato, in cambio di scusarsi s’accusa. Nello scoprirsi quest’opera, Sebastiano, ancor che avesse penato assai a farla, avendo fatto bene, le male lingue si tacquero e pochi furono coloro che lo mordessero. Dopo, facendo Raffaello, per lo cardinale de’ Medici per mandarla in Francia, quella tavola che dopo la morte sua fu posta all’altare principale di San Piero a Montorio, dentrovi la Trasfigurazione di Cristo, Sebastiano in quel medesimo tempo fece anch’egli, in un’altra tavola della medesima grandezza, quasi a concorrenza di Raffaello, un Lazaro quattriduano e la sua resurrezzione. La quale fu contrafatta e dipinta con diligenza grandissima, sotto ordine e disegno in alcune parti di Michelagnolo. Le quali tavole finite, furono amendue publicamente in Concistoro poste in paragone, e l’una e l’altra lodata infinitamente. E benché le cose di Raffaello, per l’estrema grazia e bellezza loro, non avessero pari, furono nondimeno anche le fatiche di Sebastiano universalmente lodate da ognuno. L’una di queste mandò Giulio cardinale de’ Medici in Francia a Nerbona al suo vescovado, e l’altra fu posta nella cancelleria, dove stette infino a che fu portata a San Piero a Montorio con l’ornamento che vi lavorò Giovan Barile. Mediante quest’opera, avendo fatto gran servitù col cardinale, meritò Sebastiano d’esserne onoratamente rimunerato nel pontificato di quello. Non molto doppo, essendo mancato Raffaello et essendo il primo luogo nell’arte della pittura conceduto universalmente da ognuno a Sebastiano, mediante il favore di Michelagnolo, Giulio Romano, Giovanfrancesco Fiorentino, Perino del Vaga, Polidoro, Maturino, Baldessarre Sanese e gl’altri rimasero tutti a dietro. Onde Agostin Chigi, che con ordine di Raffaello faceva fare la sua sepoltura e cappella in Santa Maria del Popolo, convenne con Bastiano che egli tutta gliela dipignesse. E così fatta la turata, si stette coperta, senza che mai fusse veduta, insino all’anno 1554. Nel qual tempo si risolvette Luigi, figliuolo d’Agostino, poiché il padre non l’aveva potuta veder finita, voler vederla egli. E così allogata a Francesco Salviati la tavola e la cappella, egli la condusse in poco tempo a quella perfezzione che mai non le poté dare la tardità e l’irresoluzione di Sebastiano, il quale, per quello che si vede, vi fece poco lavoro, se bene si trova ch’egli ebbe dalla liberalità d’Agostino e degli eredi molto più che non se gli sarebbe dovuto quando l’avesse finita del tutto; il che non fece, o come stanco dalle fatiche dell’arte, o come troppo involto nelle commodità et in piaceri. Il medesimo fece a Messer Filippo da Siena, cherico di camera, per lo quale nella Pace di Roma, sopra l’altare maggiore, cominciò una storia a olio sul muro e non la finì mai. Onde i frati, di ciò disperati, furono costretti levare il ponte che impediva loro la chiesa e coprire quell’opera con una tela et avere pacienza quanto durò la vita di Sebastiano. Il quale morto, scoprendo i frati l’opera, si è veduto che quello che è fatto è bellissima pittura; perciò che dove ha fatto la Nostra Donna che visita Santa Lisabetta,