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pittore e creato di Giulio, oggi eccellente maestro. Essendo non molto dopo i soprastanti della fabbrica di San Petronio di Bologna desiderosi di dar principio alla facciata dinanzi di quella chiesa, con grandissima fatica vi condussono Giulio in compagnia d’uno architetto milanese, chiamato Tofano Lombardino, uomo allora molto stimato in Lombardia per molte fabbriche che si vedevano di sua mano. Costoro dunque avendo fatti più disegni, et essendosi quegli di Baldassarre Peruzzi sanese perduti, fu sì bello e bene ordinato uno che fra gli altri ne fece Giulio, che meritò riceverne da quel popolo lode grandissima e con liberalissimi doni esser riconosciuto nel suo ritornarsene a Mantova. Intanto, essendo di que’ giorni morto Antonio Sangallo in Roma, e rimasi perciò in non piccolo travaglio i deputati della fabbrica di San Piero, non sapendo essi a cui voltarsi per dargli carico di dovere con l’ordine cominciato condurre sì gran fabbrica a fine, pensarono niuno potere esser più atto a ciò che Giulio Romano, del quale sapevano tutti quanta l’eccellenza fusse et il valore; e così avisando che dovesse tal carico accettare più che volentieri per rimpatriarsi onoratamente e con grossa provisione, lo feciono tentare per mezzo d’alcuni amici suoi, ma invano, però che, se bene di bonissima voglia sarebbe andato, due cose lo ritennero: il cardinale che per niun modo volle che si partissi, e la moglie con gl’amici e parenti, che per tutte le vie lo sconfortarono. Ma non avrebbe per avventura potuto in lui niuna di queste due cose, se non si fusse in quel tempo trovato non molto ben sano, per che, considerando egli di quanto onore et utile sarebbe potuto essere a sé et a’ suoi figliuoli accettar sì onorato partito, era del tutto volto, quando cominciò a ire peggiorando del male, a voler fare ogni sforzo che il ciò fare non gli fusse dal cardinale impedito. Ma perché era di sopra stabilito che non andasse più a Roma e che quello fusse l’ultimo termine della sua vita, fra il dispiacere et il male si morì in pochi giorni in Mantova, la quale poteva pur concedergli che, come aveva abbellita lei, così ornasse et onorasse la sua patria Roma. Morì Giulio d’anni cinquantaquattro, lasciando un solo figliuol maschio, al quale, per la memoria che teneva del suo maestro, aveva posto nome Raffaello. Il qual giovinetto, avendo affatica appreso i primi principii dell’arte con speranza di dovere riuscir valent’uomo, si morì anch’egli, non dopo molti anni, insieme con sua madre, moglie di Giulio. Onde non rimase di lui altri che una figliuola chiamata Virginia, che ancor vive in Mantova, maritata a Ercole Malatesta. A Giulio, il quale infinitamente dolse a chiunque lo conobbe, fu dato sepoltura in San Barnaba con proposito di fargli qualche onorata memoria. Ma i figliuoli e la moglie, mandando la cosa d’oggi in domani, sono anch’eglino per lo più mancati senza farne altro. E pure è stato un peccato che di quell’uomo, che tanto onorò quella città, non è stato chi n’abbi tenuto conto nessuno, salvo coloro che se ne servivano, i quali se ne sono spesso ricordati ne’ bisogni loro. Ma la propria virtù sua, che tanto l’onorò in vita, gli ha fatto mediante l’opere sue eterna sepoltura doppo la morte, che né il tempo, né gl’anni consumeranno. Fu Giulio di statura né grande né piccolo, più presto compresso che leggeri di carne, di pel nero, di bella faccia, con occhio nero et allegro, amorevolissimo, costumato in tutte le sue azzioni, parco nel mangiare e vago di vestire e vivere onoratamente. Ebbe discepoli assai,