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padiglione molto ben fatti e graziosi. E se anco questa tavola non fusse stata tanto tinta di nero, onde è diventata scurissima, certo sarebbe stata molto migliore. Ma questo nero fa perdere o smarrire la maggior parte delle fatiche che vi sono dentro; conciò sia che il nero, ancora che sia vernicato, fa perdere il buono, avendo in sé sempre dell’alido, o sia carbone o avorio abruciato o nero di fumo o carta arsa. Fra molti discepoli ch’ebbe Giulio mentre lavorò queste cose, i quali furono Bartolomeo da Castiglioni, Tommaso Paperello cortonese, Benedetto Pagni da Pescia, quegli di cui più familiarmente si serviva fu Giovanni da Lione e Raffaello dal Colle del Borgo San Sepolcro, l’uno e l’altro de’ quali nella sala di Gostantino e nell’altre opere, delle quali si è ragionato, avevano molte cose aiutato a lavorare. Onde non mi par da tacere che, essendo essi molto destri nel dipignere e molto osservando la maniera di Giulio nel mettere in opera le cose che disegnava loro, eglino colorirono col disegno di lui, vicino alla Zecca vecchia in Banchi, un’arme di papa Clemente Settimo; cioè la metà ciascuno di loro, con due figure a uso di termini, che mettono la detta arme in mezzo. Et il detto Raffaello, non molto doppo, col disegno d’un cartone di Giulio dipinse a fresco dentro la porta del palazzo del cardinale della Valle, in un mezzo tondo, una Nostra Donna che con un panno cuopre un fanciullo che dorme, e da una banda sono S. Andrea apostolo e dall’altra S. Niccolò: che fu tenuta, con verità, pittura eccellente. Giulio in tanto, essendo molto dimestico di Messer Baldassarri Turrini da Pescia, fatto il disegno e modello, gli condusse sopra il monte Ianicolo, dove sono alcune vigne che hanno bellissima veduta, un palazzo con tanta grazia e tanto commodo, per tutti quegl’agi che si possono in un sì fatto luogo disiderare, che più non si può dire. Et oltre ciò furono le stanze non solo adornate di stucchi, ma di pittura ancora, avendovi egli stesso dipinto alcune storie di Numa Pompilio che ebbe in quel luogo il suo sepolcro. Nella stufa di questo palazzo dipinse Giulio alcune storie di Venere e d’Amore, e d’Apollo e di Iacinto con l’aiuto de’ suoi giovani, che tutti sono in istampa. Et essendosi del tutto diviso da Giovanfrancesco, fece in Roma diverse opere d’architettura, come fu il disegno della casa degli Alberini in Banchi, se bene alcuni credono che quell’ordine venisse da Raffaello; e così un palazzo, che oggi si vede sopra la piazza della Dogana di Roma, che è stato per essere di bello ordine posto in istampa. E per sé fece sopra un canto del Macello de’ Corbi, dove era la sua casa nella quale egli nacque, un bel principio di finestre, il quale, per poca cosa che sia, è molto grazioso. Per le quali sue ottime qualità, essendo Giulio dopo la morte di Raffaello per lo migliore artefice d’Italia celebrato, il conte Baldassarre Castiglioni, che allora era in Roma ambasciadore di Federigo Gonzaga, marchese di Mantova et amicissimo come s’è detto di Giulio, essendogli dal marchese suo signore comandato che procacciasse di mandargli un architettore per servirsene ne’ bisogni del suo palagio e della città, e particolarmente che arebbe avuto carissimo Giulio, tanto adoperò il conte con prieghi e con promesse, che Giulio disse che andrebbe ogni volta, pur che ciò fusse con licenza di papa Clemente. La quale licenza ottenuta, nell’andare il conte a Mantova, per quindi poi andare, mandato dal Papa, all’imperadore, menò Giulio seco, et arrivato, lo presentò